“Cosa succederà al cane?”
Questa frase viene ripetuta una decina di volte nell’Amico fedele, un adattamento del romanzo di Sigrid Nunez su una donna, un fantasma e un alano di 80 chili, ed è il secondo interrogativo più ricorrente che perseguita questo film delicatamente divertente e profondamente malinconico (nelle sale italiane esce il 5 giugno, ndt). Per cominciare, c’è il proprietario del cane, Walter (Bill Murray). Una mattina, mentre è fuori a fare jogging, avvista il cagnolino solitario e decide di portarlo a casa. Walter è un po’ un cliché: il talentuoso romanziere anziano che insegna in una prestigiosa università, famoso tanto per la seduzione delle sue studentesse quanto per la sua eredità letteraria. È un mascalzone irascibile e affascinante con diversi matrimoni e una miriade di relazioni problematiche alle spalle. Pensate a Philip Roth, interpretato da… be’, Bill Murray.
Molto tempo prima, Iris (Naomi Watts) era una di quelle giovani donne cadute sotto il vertiginoso incantesimo di Walter. Ma è stata più fortunata delle altre. Invece di essere esclusa dalla sua cerchia ristretta dopo essere finiti a letto insieme, ovvero secondo il suo solito modus operandi, Iris è diventata la sua [orrore] amica intima. Lui ha riconosciuto il talento di questa aspirante scrittrice, ma senza mai considerarla una vera e propria rivale, al punto da affiancarle la figlia ormai adulta, Val (Sarah Pidgeon), per aiutarla a curare e pubblicare un libro sulla loro corrispondenza. Gran parte di questo progetto verrà raccolto a pezzetti lungo il cammino, perché non appena avrete incontrato questa eloquente reliquia del passato, lui si allontanerà rapidamente dalla scena. La sua improvvisa scomparsa è tanto sconvolgente quanto tragica.
Le campane funebri hanno appena smesso di suonare quando Barbara (Noma Dumezweni), la seconda delle tre mogli di Walter, chiede di parlare con Iris. Si scopre che il compianto letterato aveva insistito affinché Iris si prendesse cura del suo amato alano Apollo dopo la sua scomparsa. Lei rifiuta. Come può ospitare questa bestia enorme nel suo minuscolo appartamento nel West Village? Perché la prima moglie di Walter, Elaine (Carla Gugino), non può prendersi cura di questo gigantesco animale dagli occhi tristi? O la sua terza moglie vedova, Tuesday (Constance Wu)? Inoltre, Iris ha una scadenza editoriale imminente. Per non parlare del fatto che è un’amante dei gatti.
Tuttavia, Iris finisce per prendere Apollo con sé, con grande divertimento dei vicini – “Sembra che tu abbia un pony sul letto”, osserva un coinquilino – e con l’ira del custode del palazzo (Felix Solis). Il cane prende rapidamente possesso dello spazio. È anche depresso per la perdita del suo umano principale. Iris non ha idea di cosa fare con un cane in una grande città, né di come far uscire Apollo dalla sua depressione. Il che solleva la domanda principale che aleggia sul film: come si fa a gestire il travolgente flusso di dolore di un’altra persona (o creatura) parallelamente al proprio?
Esiste una versione di questa storia che non è altro che una delizia cinefila per gli amanti dei cani, una sorta di Io & Marley in stile Gotham Awards che bilancia le avventure canine con lezioni di vita piene di massime edificanti. E fidatevi quando vi diciamo che non mancano le reazioni “aww” di fronte al “protagonista”, interpretato da un alano di nome Bing, che ha il talento di un attore di serie A. Walter descrive inizialmente l’incontro alquanto “magico” tra lui e Apollo a una cena. Quando finalmente vediamo quell’incontro svolgersi per intero, Bing è ripreso dal basso, sotto il ponte di Manhattan, e inquadrato contro un cielo azzurro terso. È il tipo di inquadratura che i registi erano soliti regalare a John Wayne, Vivien Leigh e altre star dell’età d’oro di Hollywood.

Naomi Watts e Bill Murray in una scena del film. Foto: Bleecker Street
Non che gli umani non riescano a tenere testa a questo ruba-scena a quattro zampe: se qualcuno avesse bisogno di ricordare che Naomi Watts è un’attrice straordinaria e incredibilmente sottile, qui ne troverà ampia prova. Ci sono due scene, una che riguarda una seduta di terapia e l’altra una “conversazione” postuma con Walter, che mettono in risalto i suoi punti di forza e allo stesso tempo mostrano i punti chiave emotivi di questa interpretazione a tratti scottante delle macerie che i suicidi lasciano dietro di sé. (Quanto a Murray, è presente nell’Amico fedele per meno di 10 minuti, eppure sfrutta al meglio il suo breve tempo e fa in modo che la presenza di Walter, per non parlare della sua assenza, sia sottolineata per tutta la durata del film.)
Ma i registi David Siegel e Scott McGehee (Suture, Quel che sapeva Maisie e il sottovalutatissimo Montana Story) puntano a bersagli più grandi del semplice coinvolgimento emotivo, delle sponsorizzazioni della PETA e dei riconoscimenti dell’ente del turismo, anche se filmano Manhattan con un affetto struggente solitamente riservato agli innamorati. Sanno che questa non è solo la storia di una donna che si lega a un cane: è un racconto di perdita e dolore che sa che sentimenti così profondi non sono confinati a una singola specie. Ed è la combinazione della capacità di questo duo di addentrarsi nei profondi legami forgiati da ferite reciproche senza scadere in un pasticcio sdolcinato e sentimentale, l’umanità dell’interpretazione di Watts e il modo in cui la macchina da presa ama il suo enorme co-protagonista dalle orecchie a punta (Bing, non Bill) che rendono L’amico fedele molto più di un semplice omaggio agli animali domestici, a New York e agli animali domestici di New York. Cosa succederà al cane? Starà bene. E così anche al suo padrone. E così anche a te.