Da Versailles alla Versilia: intervista agli Air | Rolling Stone Italia
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Da Versailles alla Versilia: intervista agli Air

Quando nel camerino de La Prima Estate Festival faceva -19 gradi e fuori c'era la temperatura del nucleo di Giove, abbiamo incontrato il duo francese, che ci ha parlato dei 27 anni di 'Moon Safari' e del live di questa sera a Camaiore

Da Versailles alla Versilia: intervista agli Air

Air

Foto press

Ci sono 30 gradi al Lido di Camaiore. Percepiti: impossibile definirlo. 
Nella steppa desertica di mezzogiorno – sole allo Zenit – l’ufficio stampa del festival La Prima Estate e qualche giornalista si aggira nel backstage alla ricerca di un po’ d’ombra. O meglio, di un punto specifico in cui ci sia quantomeno la chance di captare una simbolica brezza. Ci si muove in gruppo, tutti vicini, cambiando postazione repentinamente a seconda del movimento dei tendaggi, testimoni di probabili – per quanto intangibili – colpi d’aria.

Sembra una scena di Miracolo a Milano di De Sica, ma al contrario. Quella in cui la folla insegue, si stringe e si azzuffa per godere per una manciata di secondi degli sparuti raggi di sole che, di tanto in tanto, riescono a perforare i banchi di nebbia. A Camaiore, dietro al palco de La Prima Estate, la dinamica è molto simile, ma l’obiettivo è esattamente opposto. Questa danza dell’aria è per sopravvivere all’attesa degli Air, che hanno appena finito il soundcheck e stanno aspettando la stampa in camerino. Siamo tre giornalisti, e io – un po’ per circostanze, un po’ per codardia – non ho problemi a dire che andrò per ultimo. Ci ricevono uno alla volta in camerino. Gli altri aspettano fuori.

Sarà il periodo dell’anno, sarà che mio cugino sta dando la maturità, ma mi sale l’ansia scolastica. Aspetto fuori scrutando i visi dei colleghi che escono dai colloqui, cercando di captare l’umore della commissione mentre ripasso le note che mi sono appuntato per l’intervista. Poi mi ricordo che a differenza dell’orale dell’esame di stato, oggi le domande le faccio io, e mi faccio avanti. 

Scatta il mio turno, entro in camerino e improvvisamente la mia unica reale preoccupazione diventa lo sbalzo di temperatura, e l’impatto dell’aria condizionata che inevitabilmente mi condurrà, domani, a svegliarmi con il mal di gola. Dico a Nicolas Godin che mi dimentico sempre in treno e in aereo di portarmi una sciarpa della salute. Da oggi, anche nei camerini. Gli Air, Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel, siedono tranquilli e impassibili. Sul tavolo c’è frutta e una bottiglia di Martini (chiusa). Sembrano rilassati, stasera il loro World Tour approda al Lido di Camaiore, l’unica tappa italiana del duo francese nel 2025, nell’inarrestabile celebrazione dei 25 anni (ormai 27) di Moon Safari.

«Moon Safari è un album che per me ha sempre suonato meglio in studio, che live. E continuo a pensarlo oggi. Eppure siamo qui», attacca Nicolas. «Io sono una studio person, anche solo l’idea di suonare live quell’album mi faceva entrare nel panico: sono sempre stato consapevole che riportare Moon Safari con la stessa precisione tecnica ad un concerto era impossibile». Sono stupito dalla rigidità e dal livello di auto-criticismo che utilizza, parla addirittura di degradation. «Ci ho messo un sacco di anni a superare questo problema. Avevo la sindrome dell’impostore. Non capivo come le persone potessero apprezzare quello che stavamo facendo sul palco. Ho dovuto lavorare molto su me stesso per questo motivo. Poi ho capito che Moon Safari è una macchina del tempo, e quando lo suoni live porta così tanta gioia e piacere alle persone, e a noi stessi, che ho imparato a lasciarmi andare. È un album che trasporta in un’era magica. E lì abbiamo capito che – anche se non suonava esattamente come l’album – lo potevamo suonare ovunque e per sempre».  Jean-Benoît conferma, e rincara la dose. «È stato un processo. Anche la tecnologia ha aiutato alla resa live del disco. Dopo tour frustranti abbiamo trovato un suono che ci soddisfa. E abbiamo iniziato ad apprezzare il concerto come un prodotto di insieme: le luci, i visual, l’arte lì, davanti agli occhi del pubblico. Credo che Moon Safari stesse aspettando il 2025 per essere portato sul palco come si deve».

L’era magica di Moon Safari è estremamente legata all’infanzia del duo di Versailles, un universo che varia da Jules Verne ai Barbapapà. «Ah, esistono i Barbapapà anche in Italia? Sai che Ce matin là è un omaggio ai Barbapapà?», sorrido pensando a Paolo Sorrentino che sceglie la stessa traccia – quella dedicata ai Barbapapà – tra i brani della colonna sonora di L’uomo in più. «Ora è curioso. Partito da un immaginario nostro, così specifico, Moon Safari è completamente fuori dal nostro controllo». Ad aprile, il remix di Vegyn. Ieri, la premiere a Lafayette Anticipations a Parigi del docufilm Blue Moon Safari del regista britannico Joshua Gordon. «Non siamo preoccupati. Non è un’evoluzione. Sono semplicemente altri angoli, altri punti di vista sul nostro lavoro, che rimane intoccato. Questi spin-off hanno un sapore molto distopico per me», spiega Nicolas. «Come avrebbe suonato quel nostro stesso album se fossimo stati inglesi, e l’avessimo prodotto lì? È come sentire la versione di noi stessi in un universo parallelo, se le nostre idee musicali fossero state trasportate da un’astronave in un mondo, in un contesto totalmente diverso». Conclude Jean-Benoît: «Moon Safari è fuori dal nostro controllo, è vero. Ma tutto ciò che deriva da lì sono cose nuove, diverse. C’è uno spirito diverso. È interessante vedere come qualcun altro possa declinare quel mood così specifico in qualcosa di totalmente differente. Ma è un’altra roba. L’identità del nostro lavoro rimane intatta ed eterna».

Inizia a fare caldo in camerino, mi chiedono se conosco una spiaggia libera in zona palco. Non ne conosco, imbarazzato e colpevole per uscire dall’impasse mi ritrovo a parlare di luoghi comuni italiani, e finiamo per discutere di caciucco, Ennio Morricone e Baricco. «Quando eravamo bambini, guardavamo moltissima televisione. E ogni volta che trasmettevano un film, anche film francesi, metà delle volte la colonna sonora era di Morricone. Tutti quei film con Jean-Paul Belmondo, Lino Ventura. In tutto quel cinema francese c’era lo zampino di Morricone. Ricordo chiaramente quando andai a vedere Il buono, il brutto, il cattivo al cinema», precisa Nicolas. «La musica era così travolgente, così sexy, che mi ha cambiato la vita. Per sempre. Per me Morricone è un genio, è come un dio. Ci ha influenzato terribilmente. Però non l’abbiamo mai incontrato. Ma forse è meglio così. C’era timore reverenziale, e comunque sembrava un tipo un po’ grumpy». Non mi sento di contraddire, con massimo rispetto per Morricone.

AIR - Moon Safari (Full Album - Official Audio)

Chi invece hanno incontrato è stato Alessandro Baricco, con cui nel 2003 hanno registrato un reading musicato, l’album City Reading. «A distanza di vent’anni ancora non capisco perchè venne da noi. Noi avevamo giusto letto Novecento, come tutti, ma non avevamo idea di chi fosse. Ma ci piacque, c’era una bella energia fin da subito. La sua voce, il suo timbro, era perfetto: una singola take ed era fatto. L’abbiamo anche portato live assieme al Teatro Valle» ricorda Jean-Benoît. «Abbiamo scoperto Roma grazie a quel progetto, è stato incredibile, un’esperienza nuova. Poi è finita e non abbiamo più fatto nulla di simile. Sai, non ci piace ripeterci. Usiamo gli Air come una piccola navicella spaziale per esplorare la letteratura, il cinema, la pubblicità, la televisione. Ogni volta che si apriva un campo diverso e c’era della musica, dicevamo: «Proviamo, così possiamo scoprire un nuovo mondo».

Stasera la navicella spaziale Air entra in orbita Versilia. Si ancora e staziona per una notte al Lido di Camaiore. Slacciamo le cinture e sfidiamo la gravità. 

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