Tutta la verità di Kae Tempest | Rolling Stone Italia
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Tutta la verità di Kae Tempest

‘Self Titled’ è un’affermazione identitaria fiera e mai didascalica: «Essere autentici è un atto politico, specialmente se vivi ai margini». L’intervista

Tutta la verità di Kae Tempest

Kae Tempest

Foto: Jesse G

Non era previsto. Non c’era un piano. Kae Tempest stava lavorando a un altro album, «praticamente finito», ma qualcosa non funzionava. Le canzoni non parlavano più. «Non sembrava quello giusto per questo momento della mia vita», racconta. Quasi per sbaglio, invece, è nato Self Titled: il lavoro più diretto, fragile e viscerale della sua carriera. Con alle spalle nomination al Mercury Prize e Brit Awards, collaborazioni con la leggenda hip hop Rick Rubin, pièce teatrali di successo e raccolte di poesie tradotte in tutto il mondo, l’artista londinese è una delle voci più potenti e riconoscibili della scena inglese e mondiale, capace di attraversare linguaggi diversi mantenendo una coerenza rara: quella della verità. Con Self Titled, che nasce durante una crisi creativa, Tempest torna con un lavoro che è insieme resa dei conti, liberazione e dichiarazione identitaria.

«Ero in studio da Fraser T. Smith solo per un parere su qualche demo», racconta, appena iniziamo la nostra chiacchierata negli uffici londinesi di Universal Music, accolti tra i primi di una lunga giornata che verrà dedicata a interviste e incontri con i media. «E invece lui mi ha detto: “Perché non lasciamo stare tutto e proviamo a scrivere qualcosa insieme, senza aspettative?”. Così è nato questo disco». Da quella libertà inattesa a una veste artistica nuda, onesta, urgente: «Ogni giorno nasceva qualcosa di spontaneo. Non cercavamo il singolo perfetto, ma qualcosa che fosse vero. Quell’energia è diventata la spina dorsale del disco. E si sente».

Il primo brano, I Stand on the Line, è un’apertura in apnea. Una resa dei conti silenziosa, che guarda indietro con lo sguardo puntato dentro. Perché Self Titled non è solo un titolo, è una dichiarazione d’identità: «Scrivere rivolgendomi alla versione di me giovane è stato come riallacciare un filo interrotto. Mi ha aiutato a vedere le cose con più compassione, anche verso versioni di me che avevo dimenticato o messo da parte. C’è qualcosa di curativo in quel dialogo». Lo stesso sguardo attraversa Know Yourself, dove appare una frase scritta proprio durante l’adolescenza, un meta-dialogo perfettamente in linea con gli studi e i lavori a teatro: «Rileggerla oggi mi stupisce. A volte il passato ha più coraggio di quanto crediamo. Ho realizzato che la mia voce di allora aveva già dentro una verità che sto ancora cercando».

Kae Tempest - Know Yourself (Official Video)

La città c’è, sempre, non può essere altrimenti. In Hyperdistillation, Londra torna come pressione, ritmo, memoria, identità. «Il South East è il mio battito cardiaco. Anche se non la nomino, c’è. Ma ora il rapporto è cambiato, è meno mitizzato. Più reale. Forse più triste, ma anche più ricco di sfumature. Questa città forma e al tempo stesso ferisce. Eppure è sempre casa, anche quando mi fa sentire fuori posto».

In mezzo, c’è anche spazio per una riflessione più lieta. Forever è uno dei momenti più sospesi dell’album, una specie di vuoto che lascia respirare il ciclo dei brani: «Volevo scrivere qualcosa che contenesse tensione, ma senza doverla spiegare. Una canzone che fosse uno spazio dove fermarsi. A volte il silenzio è la cosa che dice di più». La delicatezza è una forza che attraversa tutto il disco, in particolare in ’Til Morning, forse il brano più intimo in scaletta. «L’avevo registrata in una versione decisamente più rabbiosa. Ma Fraser mi ha detto: “La dolcezza è più potente. La rabbia tende a chiudere, la tenerezza apre”. Ed è vero. Quella dolcezza non è debolezza: è vigilanza, è consapevolezza. È amore». Il confine tra rabbia e passione è una delle linee guida di Self Titled. Un equilibrio di sfumature che non rinuncia mai alla chiarezza: «Non volevo che il disco fosse un manifesto, né un diario. È solo un luogo dove ho detto la verità. Chi vuole ascoltare, troverà la sua».

Da sempre Kae Tempest si muove tra poesia, spoken word, teatro e musica. Nonostante abbia attraversato generi e linguaggi diversi, la sua voce è rimasta una costante: ritmica, precisa, inconfondibile. In brani come Statue in the Square – una potente denuncia in vui urla “Non hanno mai voluto persone come me da queste parti, ma quando morirò metteranno la mia statua in piazza” – si torna al flow essenziale degli esordi: «Quando trovo quel ritmo tra parola e respiro tutto si allinea, la voce trova il suo posto. È lì che comincia la mia verità». In altri momenti, come in Breathe, la scrittura diventa ancora più una dichiarazione del suo percorso: «Era uno di quei momenti in cui scrivere non è un mestiere, è sopravvivenza».

Kae Tempest - Statue In The Square (Official Video)

Il disco è un’affermazione identitaria lucida, fiera, mai didascalica: «Oggi essere autentici è un atto politico, soprattutto se vivi ai margini. Ma non volevo che fosse un disco sull’identità. Volevo fosse parte del disco, con naturalezza. Senza chiedere permesso». Il risultato è un lavoro che si regge su una convinzione semplice e potente: «C’è tanta paura in giro, ma anche un bisogno fortissimo di mostrarsi per come si è. L’amore, in tutto questo, è la forza più radicale». E riflettendo sul potere dell’espressione autentica e sul suo impatto nella comunità non-binary, aggiunge: «Credo che il semplice atto di essere se stessi e mostrarsi nello spazio della musica possa avere un effetto importante: è rappresentazione, familiarità, fratellanza. È come dire: “Dai, forza!”. È un gesto gioioso, anche in un momento difficile come questo, in cui esporsi pubblicamente può far paura. A volte nasce il desiderio di nascondersi, di sparire, di non farsi notare. Ma quel desiderio nasce dalla paura. E invece la scelta di alzarsi e mostrarsi viene dall’amore. E l’amore, per me, è la forza più grande tra queste due spinte opposte».

Nel 2022, Kae ha portato More Pressure sul palco di X Factor Italia, un contesto sorprendente per chi l’ha sempre vista come artista intima, indipendente: «È stato strano, ma bello. Non avevo mai pensato di trovarmi lì, ma ho capito che il messaggio può viaggiare ovunque, se è autentico. Anche su un palco dove non ti aspetti di trovarlo».

Guardando indietro, rimanendo attenti al futuro, Self Titled è forse il disco più vicino all’essenza di Kae: «Sento che questo lavoro ha scelto me. Aveva una sua urgenza, e sono felice di avergli dato spazio. È stato come tornare a casa, ma vedere adesso con occhi nuovi. Sì, mi sento la persona che volevo essere in questo momento».

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