«Anche se fossi uno scheletro non smetterei di twerkare». Forse non c’è modo più chiaro per descrivere Isabella Lovestory se non questa frase che mi butta lì divertita durante la nostra intervista. Siamo nel box stampa del Primavera Sound, primi di giugno. Il festival spagnolo ha aperto i cancelli e l’edizione capitanata dalla Superchicche del pop (Charli XCX, Sabrina Carpenter, Chappel Roan) è appena iniziata. Ma Isabella Lovestory è di un’altra pasta. Più che una Superchicca è una Winx, visti gli abiti cortissimi e sgargianti, il tacco alto fisso e le ali (“da aprire come una farfalla”) riprese nel brano Mariposa del 2020. E tra le Winx sarebbe Musa, la Fata della Musica che proviene dal pianeta Melody, che ama cantare e esibirsi sul palcoscenico. Ok, ma Musa sa twerkare?
Isabella è nata in Honduras, ma presto si è trasferita con la famiglia negli USA per poi muoversi definitivamente a Vancouver, in Canada, dove risiede ancora adesso quando non è in tour o in giro per il mondo a registrare un album, come l’ultimo Vanity (pubblicato venerdì), scritto tra New York, Londra e Miami. Ma non è strano fare reggaeton in Canada? «Ho sempre sentito il bisogno di crearmi il mio universo. Anche in Honduras non mi ero ambientata, ero una bambina strana, mi infilavo sempre nei casini. Sento come se non appartenessi a nessun luogo specifico. Quando mi sono trasferita in Canada ho iniziato a esagerare tutto questo, avevo più fiducia per costruire questo mio mondo, probabilmente delirante. Avevo una mia visione. Restare in contatto con le mie origini onduregne (lo dice cambiando l’accento e recuperando quello latino, nda) mi dà molto coraggio nel continuare questo mestiere».
A guardare i videoclip di Isabella, possiamo percepire la stranezza di cui parla, un mix di estetiche DIY internettiane post-Tumblr che flirtano con cinema d’autore e eurotrash, come il titolo di uno dei singoli del suo ultimo disco. «Sono stata un po’ emarginata da ragazzina. Dai 13 ai 17 anni ho vissuto vari traslochi, prima in Virginia, negli States, poi a Vancouver in Canada, quindi ho passato la maggior parte del tempo su internet, guardando film e andando su Tumblr. Tutti gli amici che avevo erano online. E passavo così le giornate a far ricerca, cercando immagini e ispirazioni. Mi veniva naturale, mi piace fare moodboard, lasciarmi ispirare da tutto ciò che trovo».
Il suo ultimo video, Vanity – per la prima volta un’indagine nel mondo sonoro anni ’80 – richiama scenari sci-fi da Severance, mentre l’appena precedente Telenovela cita Cronenberg e, sullo stesso piano, la telenovela messicana La rosa de Guadalupe (che ha quasi raggiunto i 2000 episodi) celebre online per la memetica generatasi attorno ai suoi episodi piuttosto allucinanti sugli emo (qui per capire di che parliamo, vi basteranno pochi secondi). Le idee scorrono a loro modo folli e personali in un pastiche tra sensualità esplicita, estetica latin trash e citazioni d’autore: «Ho sempre sentito la necessità naturale di andare controcorrente. E cerco sempre nuovi modi per essere autentica e punk e onesta. Non farò mai quello che già fanno gli altri, questo è lo spirito che mi guida. Dobbiamo sempre ribellarci contro il sistema».
Mentre l’Occidente è ancora incapace di leggere il reggaeton come uno dei generi più importanti di quest’ultimo decennio, così come in passato la miopia aveva accompagnato le rivoluzioni prima del rock, poi del punk, dell’hip hop e dell’elettronica, Isabella Lovestory ce ne mostra il lato più intrigante, quello del neoperreo, un sottogenere che ingloba elementi dell’elettronica (entrando nell’universo leftfield del genere) al pari di una nuova visione della donna, libera e indipendente. Il reggaeton, e il neoperreo, sono quindi davvero sottovalutati? «Credo che le persone abbiano una tendenza perenne a dare un’etichetta a tutto», spiega, e aggiunge «quindi il reggaeton sperimentale viene subito categorizzato con quello mainstream. Come artista sperimentale della scena neoperreo e reggaeton voglio mostrare che non c’è solo una possibilità, una via, non c’è solo la ragazza hot, ma esiste anche la possibilità di decostruire il reggaeton, di introdurre nuovi suoni e fare cose che non sono state fatte in precedenza. Gli artisti dovrebbero permettersi di essere più liberi invece di pensare a quello che penseranno gli altri».
Continua Isabella: «Sono contenta di poter twerkare tutto il tempo. Anche se non ho il culo e twerko con le ossa. Ma anche fossi uno scheletro continuerei a twerkare. Noto l’assurdità di essere in quel ruolo, di essere sul palco a dover sempre far festa, e twerkare. Ma mi piace l’assurdità, l’humor, l’esagerazione». Assurdità, humor, esagerazione, tutto ciò che ritroviamo, infatti, nel suo precedente Amor Hardcore (2022) e nel suo ultimo Vanity, di cui spiega così il titolo: «La vanità il peccato comune in cui tutti cadiamo. Siamo sempre così esposti, sempre di fronte a una camera; stiamo saturando. È un periodo davvero narcisista e la vanità è diventata un peccato davvero popolare». Ma assurda, come si può immaginare, è anche la storia dietro le registrazioni del disco: «Abbiamo iniziato a registrarlo due anni fa dentro un B&B infestato. Ma infestato davvero! Ogni notte sognavo che qualcuno mi inseguiva e mi uccideva. E poi un giorno tutta l’attrezzatura ha smesso di funzionare di colpo. Quindi abbiamo dovuto avere un approccio davvero DIY per riuscire a tirar fuori qualcosa da quella situazione».
Vanity, rispetto a Amor Hardcore, implementa un collage di nuove idee sonore (il pop spagnolo anni ’80, l’europop, il k-pop), mostrandoci anche un lato più intimista di Isabella. «Non volevo essere solo una ragazza del neoperreo», racconta, «ma volevo anche mostrare un lato più introverso, non essere solo la ragazza hot, ma mostrare il mio mondo interiore. Così ho sperimentato con il mio range vocale, introducendo nuovi suoni, facendomi influenzare da quelle mie ricerche internettiane, come il j-rock o il j-pop». Una nerd dell’internet come Isabella non poteva infatti che innamorarsi di generi con una forte identità visiva e sonora come il j-pop in Giappone o il k-pop in Corea del Sud. E così, chiudendo un cerchio, una sua demo è diventata una hit single di una delle principali girl band coreane, Le Sserafim: «Un sogno che si avvera, amo il k-pop. Ho registrato la demo con un micro di merda in camera e la mia voce è finita in un loro brano». Prosegue divertita, quasi incredula: «La mia voce è stata sentita da tutta la Corea del Sud, è andata anche al primo posto in classifica, e mi ha fatto pensare: forse il mio destino è scrivere canzoni per altri». Che sia davvero il suo futuro? Nel mentre ci godiamo queste sferzate di neoperreo allucinato che quest’anno, come due anni fa, ci hanno fatto muovere i nostri scheletri sotto il palco di un suo concerto al Primavera.