Semplicemente rap. In un’industria discografica sempre più affollata, dove ognuno cerca nelle visualizzazioni la propria identità per poi sorprendersi in crisi, cercare il disco introspettivo e aprirsi al pop, Guè torna per l’ennesima volta – tra album e featuring ormai ha una discografia monstre – con un prodotto artigianale, curatissimo nelle basi e nelle scrittura, in coppia col rapper Rasty Kilo, underdog di classe della scena, il cui stile in superficie ricorda quello di un altro romano, Noyz Narcos.
KG è un joint album, un disco street, ma è soprattutto la prova che in Italia c’è un rap al di là delle mode, un gioco senza trucchi fatto con passione e talento. Quella di Cosimo Fini è un’idea molto americana di fare musica, che qualcuno qui nella penisola dei cantautori fatica a comprendere: fare del buon rap non significa avere delle cose da dire – il famoso messaggio tanto inseguito quanto banalizzato poi nella pratica – bensì dirle bene, a tempo, con un solido flow, delle punch line azzeccate, un po’ di sana spacconeria (il più delle volte ironica e non retorica) e uno storytelling da regista di film di genere. E quasi sempre il genere è il poliziottesco, guardie e ladri, hustler, dealer, gangster, pieno di citazioni – cinematografiche e di strada – e auto-citazioni, dai Club Dogo al classico Ragazzo d’oro ripreso in uno dei pezzi migliori del disco, KG Anthem. Le rime sembrano quasi un movimento ginnico e il loro scorrere sulla base una prova atletica, ma non bisogna lasciarsi ingannare: non è un esercizio di stile, bensì l’esercizio dello stile.
Nelle scorse settimane Guè era finito in una delle polemiche social per aver dissato Elio, reo di aver affermato che il rap non è musica, rimproverando a lui di fare «il giudice di un programma che è una monnezza» e in generale che «siamo l’unico paese che non sa un cazzo di rap». Ecco, questo disco – il secondo del 2025 dopo Tropico del Capricorno – è la risposta in rima a tutti i detrattori del genere, rocker reazionari e boomer incattiviti che la cultura hip hop in Italia è più viva e radicata che mai, lontana dal giovanilismo modaiolo, anzi – come dimostrano i featuring non all’altezza di chi li ospita, da Tony Boy e Tony Effe fino a Nerissima Serpe – sempre più frutto d’esperienza e attitudine matura.
Ne è testimonianza Dedicated, un classico pezzo tributo al proprio pantheon culturale, in cui la presenza di un altro veterano come Noyz Narcos aggiunge qualità e non solo numeri di follower. Lo stesso succede per l’ospitata di Terron Fabio dei mitici Sud Sound System in Non ci puoi avere. Come il vino, o meglio lo “champo” per rimanere nel pimpatissimo tema del disco svelato fin dalla copertina, anche i rapper migliorano col tempo, affinando lo stile e colorando il proprio immaginario con nuove sfumature. Poi c’è la perenna sfida con i colleghi a chi lo fa meglio, come da libretto d’istruzioni del rap, e Guè trascina il socio Rasty Kilo, per troppo tempo in ombra, tra i numeri uno.
A chi gli chiede da tempo quando Mr. Fini farà il disco della maturità, lui sembra rispondere mettendo la maturità in ogni barra, prima, ora e per i prossimi dischi, chissà quanti ancora nel 2025.