Chi se la aspettava la “renaissance” dei Pavement? | Rolling Stone Italia
Giustizia poetica

Chi se la aspettava la “renaissance” dei Pavement?

Un documentario racconta in modo esagerato la storia della band, ‘Harness Your Hopes’ diventa virale. Non è nostalgia, è l’espressione del bisogno di alternative in un’epoca dominata dagli algoritmi

Chi se la aspettava la “renaissance” dei Pavement?

Pavement

Foto: Kevin Westenberg

Chi lo avrebbe detto qualche anno fa che nel 2025 avremmo visto Stephen Malkmus ospite musicale in un programma di punta? I Pavement sono stati al Late Show di Stephen Colbert con Harness Your Hopes, la B-side del 1999 che da pezzo nemmeno presente nella scaletta dei concerti è diventato grazie a TikTok e a quei meccanismi del caso che ogni tanto ci fanno credere che il sistema possa essere cambiato la canzone più famosa della band.

L’apparizione televisiva è solo il punto apicale di quella che potremmo chiamare Pavement Renaissance. Un ritorno che non è nostalgico in senso stretto, ma un déjà vu che prende una strada secondaria e finisce per piantare una bandiera nel centro del discorso culturale. I Pavement, quelli veri, quelli sghembi, ironici, radicalmente indifferenti al mainstream sono tornati senza rinunciare a mettersi di traverso, comportandosi come un errore, un glitch, una pagina saltata che ricompare nel libro anni dopo e cambia il senso della storia.

Tutto è iniziato con un documentario. O forse con un musical. O con una mostra? È difficile dirlo, perché Pavements, il film diretto da Alex Ross Perry, non è un documentario in senso stretto. È una creatura mutante: un finto biopic dentro un vero concerto dentro un’allucinazione da museo. Una specie di universo parallelo in cui i Pavement sono diventati una band da Broadway, protagonisti di una narrazione solenne e surreale su quanto siano stati importanti. Ed è proprio questa sproporzione che funziona. Perry non racconta la storia dei Pavement, la esagera. La porta alle estreme conseguenze, la rende caricatura e culto, come se potesse finalmente compensare l’indifferenza del mondo negli anni in cui Pavement esistevano davvero. La più importante band del mondo per almeno qualche migliaio di nerd bianchi della Generazione X (e Millennial).

Pavements | Official Trailer | Utopia

Nel 1992 i Pavement cantavano “Ero pronto per il successo, ma il successo non è mai arrivato” (Here). Grazie a Kurt Cobain e a Nevermind dei Nirvana l’industria discografica si era resa conto che la musica indipendente poteva essere un affare redditizio anche per loro, ma qualcuno quel treno non è riuscito — o non ha voluto — prenderlo. Ad esempio Cut Your Hair, forse la cosa più vicina a un singolo mai scritto da Malkmus, per un momento del 1994 poteva ambire a essere un pezzo di “successo”, ma qualcosa non ha mai permesso alla band di entrare per davvero nel giro grosso.

È successo trent’anni dopo grazie a TikTok che manda in loop Harness Your Hopes. Quel brano fantasma, quella traccia dimenticata su un EP, quel pezzetto ironico e tenero che nessuno avrebbe mai pensato potesse funzionare. L’algoritmo, si dice. Forse è stata una forma di giustizia poetica, una vendetta segreta. La canzone è diventata la più ascoltata della loro discografia. Milioni di stream. Fan nuovi, occhi spalancati, meme, coreografie improvvisate. I Pavement sono diventati un fenomeno due decenni dopo essersi sciolti ed essere ritornati almeno due volte.

Dicevamo però che il punto non è mai stato il successo. Dopo il relativo exploit di Crooked Rain, Crooked Rain – il disco con Cut Your Hair – la band decide di pubblicare il meraviglioso, disorientante e spigoloso Wowee Zowee. Un suicidio commerciale consapevole. Ma anche una dichiarazione d’intenti: i Pavement non volevano salire su quel treno. Lo guardavano passare dalla banchina con le mani in tasca e un sorriso beffardo.

Ed è proprio per questo che oggi, trent’anni dopo, il loro ritorno non suona come una trappola nostalgica. Non si tratta di recuperare il passato, ma sembra quasi il tentativo di riprendersi un futuro che sembrava impossibile.

“Harness Your Hopes” - Pavement (LIVE on The Late Show)

C’è qualcosa nei Pavement che risuona profondamente con il presente: il loro rifiuto delle regole, il gusto per il gioco, la fuga dall’identità rigida. In un’epoca dominata da logiche algoritmiche, format, pianificazioni ossessive, loro rappresentano l’errore come forma d’arte. Il disallineamento come posizione politica. Secondo la rivista politica e culturale Jacobin, i Pavement sono una band “insoddisfatta di giocare secondo le regole”, che ha costruito la propria identità sabotando sistematicamente ogni aspettativa. Non volevano vendere, volevano disturbare. E in un mondo che ora pretende autenticità come merce, questa forma di sabotaggio torna ad avere senso.

Forse è proprio qui che la “Pavement renaissance” incrocia il nostro bisogno di alternative. Se c’è stato un tempo in cui era possibile vivere fuori dalle logiche del mercato, dalle multinazionali della musica, dalla griglia dello streaming e aveva come alternativa il fare comunità, lo stare insieme e costruire in modo condiviso un alfabeto della resistenza e dell’opposizione, allora forse è giusto recuperarne certi aspetti e cercare di sabotare il mondo per come lo conosciamo.

In un mondo che corre verso il controllo totale dei gusti, delle scelte, delle emozioni, forse il ritorno di una band disfunzionale, ironica, postmoderna e sinceramente indipendente è il miglior antidoto che abbiamo. Non per tornare indietro. Ma per inventare una strada laterale.

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